L’editoriale di Danilo Broggi
Nell’ottobre del 2021 già scrissi su questa rivista un pezzo sull’Innovazione e il comparto del soft-facility. Sono passati più di due anni e nel frattempo l’innovazione digital-tech e l’AI hanno fatto passi da gigante: abbiamo oramai tutti sperimentato Chat GPT (o Copilot, Explicity, etc.) e, in linea di massima, ne siamo rimasti sbalorditi.
Ma non solo: IOT, NLP, Big Data Analysis, sensoristica, robotica e quant’altro gira intorno al “digital-tech” sta, di giorno in giorno, progredendo e diventando sempre più innovativo e “disruptive”. Ma bisogna tenere a mente alcune questioni basilari.
La prima è che il business guida la tecnologia e non il contrario (salvo rari casi); in buona sostanza il settore del Facility Management, più che rincorrere il mercato dell’innovazione a prescindere, deve chiedersi (attraverso idonee interazioni con soggetti qualificati, meglio se non del settore) come, traguardando gli attuali schemi operativi, si possa da un lato rendere più efficace e più efficiente l’”attività core” e, dall’altro, come utilizzare e meglio valorizzare i “dati” che emergono dalle medesime attività che vengono quotidianamente svolte.
La seconda questione, da tener bene a mente, è che l’innovazione introdotta è giudicata “buona” – quindi apprezzata – solo se crea ulteriore valore per il cliente.
La creazione di valore per il cliente è il metro con cui misurare la profondità e la magnitudo con i quali si vuole approcciare il digital-tech e l’IA; un approccio comunque dinamico che richiede, considerata la velocità con la quale l’innovazione si sviluppa, un’attenzione costante che non si esaurisce con alcuni traguardi seppur ben raggiunti, e che richiede una capacità (non banale) di coniugare il possibile con il praticabile.
Non me ne vogliano i tanti bravi e seri fornitori di materiali, macchinari, sensoristica, software-house, etc., che a loro volta spingono verso l’innovazione, ma ritengo fondamentale – e questa è la terza questione – avere all’interno del perimetro aziendale di chi opera nel Facility Management, la figura di un “Innovation Manager”, che da un lato viva quotidianamente l’azienda osservando e comprendendo le difficoltà operative, le modalità di rilascio dei servizi, i bisogni e i feed-back dei clienti, ma anche le difficoltà e i bisogni degli addetti e degli operatori, e dall’altro alimenti in continuo l’esplorazione, e il relativo approfondimento, verso ciò che l’innovazione può apportare creando valore per l’azienda e allo stesso tempo creando valore per il cliente.
Un esperto di “digital transformation” che probabilmente non esiste in questo mercato, ma che ritengo essere il primo indispensabile passo se si vuole realmente e consapevolmente essere innovativi. Un esperto che si trovi a suo agio nel confrontarsi col mercato degli innovatori, perché ne conosce e ne comprende il linguaggio tecnico ed è in grado di “scaricare a terra” ciò che il mondo dell’innovazione mette a disposizione delle aziende operanti nel Facility Management.
Altra questione fondamentale, inoltre, il sostegno (e la fiducia) di una “cultura aziendale” verso l’innovazione, che deve vedere coinvolta in pieno la leadership aziendale: gli atteggiamenti della leadership aziendale sono cruciali per creare una cultura dell’innovazione e alimentare i processi correlati.
La mentalità innovativa di un’organizzazione, quindi, parte senza alcun dubbio dai vertici, consapevoli di cosa significhi voler essere innovativi e dell’alta probabilità di incorrere in errori!
Il padre della “Disruptive Economy”, autore del libro “The Innovator’s Dilemma” (considerato dal The Economist nel 2011 come uno dei sei libri più importanti sul business mai scritti) scriveva: “L’innovazione quasi sempre non ha successo la prima volta. Provi qualcosa e non funziona e ci vuole fiducia per dire andiamo aventi. Alla fine, diventa un successo”.