E ‘stato pubblicato da poco (marzo 2022) un interessante rapporto da Plimsoll Italia (Plimsoll è una multinazionale inglese tra le più grandi aziende di analisi dei mercati) sul settore del soft-facility che scatta una fotografia molto recente sugli andamenti economici e finanziari delle imprese (piccole, medie e grandi) del settore diviso peraltro per sottocategorie.
Sono state esaminate ben 1129 aziende, suddivise per fascia di fatturato
Tra i tanti dati che emergono, salta all’occhio la eccessiva frammentazione costituita da piccolissime e piccole aziende. Sono infatti 556 le aziende che sono sotto i 2 milioni di euro di fatturato (il 49,2% del campione) e 282 quelle sotto i 5 (un ulteriore 25%).
Mettendo insieme una serie di fattori tra i quali la salute finanziaria, il tasso di crescita, la dimensione del fatturato, la redditività emerge come il settore possa, nel prossimo futuro, trovare ampi spazi per acquisizioni, fusioni e partnership finalizzate ad un processo di consolidamento virtuoso che sappia aggiungere valore alle singole aziende.
Il “vecchio” problema riguarda la struttura familiare della proprietà poco normalmente avvezza a rinunciare al “proprio cortile” (come dicono gli inglesi) salvo essere costretta a svendere o nel peggior caso a fallire e uscire dal mercato (il 19% del campione lavora in perdita).
E ‘il momento – e il rapporto lo dimostra chiaramente – di “mettersi insieme”, avere una visione di crescita per acquisizioni e fusioni che sappia mitigare quei lati deboli (il 23% del campione ha un rating finanziario tra il basso e il mediocre) e valorizzare aspetti positivi quali tutte le potenziali sinergie sia lato mercato (mix clientela) sia lato costi di funzionamento (razionalizzazione ed efficientamento).
Con una attenzione alla struttura finanziaria e alla redditività che metta in condizioni il “nuovo soggetto” di crescere ulteriormente beneficiando anche di una maggiore dimensione e quindi di un potenziale allargamento della propria clientela.
Un dato che emerge (al netto di probabili “correzioni” (EBT adjusted) ma comunque significativo è la bassa redditività (51% del campione) e la sottocapitalizzazione in particolare delle aziende di minor dimensione.
In questo senso anche gli istituti finanziari, dai più tradizionali quali le banche o gli stessi consorzi fidi, a quelli “meno” quali piccoli fondi di investimento e mezzanini, advisor finanziari, Family Office, etc. potrebbero “favorire” tale cambiamento con l’obiettivo di un mercato più solido e più in salute, anche fornendo non solo strumenti tipicamente finanziari ma mettendo a disposizioni, attraverso società specializzate, “temporary manager” capaci di affiancare le proprietà in questi passaggi e nel successivo sviluppo.
Ricordo a tutti, anche se pleonastico, che questo settore è uno dei maggiori contributori in termini di forza lavoro dando a tante persone (senza particolare istruzione o specializzazione) la possibilità di trovare un lavoro regolare.
Un settore troppe volte considerato “un figlio di un dio minore” ma che invece tratta un servizio diventato centrale per la nostra salute, a grande impatto nel mercato del lavoro e non scevro dall’uso di tecnologie e prassi innovative.