Smart home, è l’anno di elettrodomestici e purificatori d’aria

Il mercato delle soluzioni IoT domestiche ha fatto registrare un volume complessivo di 505 milioni di euro, mostrando solo una lieve flessione, il 5% in meno rispetto al 2019.

Considerando che il 2020 è stato un anno nero per tutti, il segmento della “smart home” è tra quelli che senz’altro può sorridere. Il mercato delle soluzioni IoT domestiche ha fatto registrare un volume complessivo di 505 milioni di euro, mostrando solo una lieve flessione, il 5% in meno rispetto al 2019. Ma nel contempo, cresce l’attitudine tech dei consumatori. È quanto emerge dall’ultima edizione della ricerca sulla Smart Home dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, anticipata al Sole 24 Ore (verrà presentata venerdì).

«L’emergenza ha arrestato il trend di forte crescita, ma il mercato ha retto l’urto – afferma Giulio Salvadori, direttore dell’Osservatorio –. Un ottimo risultato considerando il contesto in cui le aziende hanno dovuto operare e il crollo delle vendite registrato nella prima parte dell’anno». Tra le categorie più richieste, arretrano le soluzioni per la sicurezza, avanzano gli smart speaker, le due “fette” merceologiche che adesso occupano il primo posto, entrambe con una quota del 21% sul totale (circa 105 milioni di euro). Appena più sotto, con il 20%, gli elettrodomestici seguiti al 15% da caldaie, termostati e condizionatori.

Dalla ricerca emerge che solo il 14% degli utenti utilizza gli speaker per gestire altri oggetti di casa, dato che lascerebbe intuire un uso per lo più rivolto alla sincronizzazione con il telefonino. Va molto meglio, invece, per gli elettrodomestici. Le vendite sono cresciute del 17% e questo è motivato dal fatto che ormai la maggior parte dei produttori ha l’intera gamma “connessa”, dunque ogni pezzo ricade nel “calderone” smart home.

Secondo un’indagine realizzata in collaborazione con Bva Doxa, il 59% di chi li possiede utilizza davvero le funzioni smart (+19% rispetto al 2019) e a trainare questo segmento c’è stato il boom di richieste di oggetti quali robot aspirapolvere e purificatori d’aria. La prolungata pandemia, che ha costretto le famiglie spesso a casa, ha indotto le persone a ragionare di più sull’abitazione e sugli strumenti che la “governano”. Il 19% del campione interpellato ha utilizzato di più gli apparecchi connessi, per il 70% la situazione è rimasta la stessa rispetto al periodo pre-Covid e il 13% ha affermato di usarli di meno. La penetrazione sul totale delle famiglie, però, non si è mossa. Il 69% del campione dichiara di sapere che cosa significhi “smart home”, solo un punto in più rispetto alla rilevazione precedente, e nel complesso il 43% dichiara di possedere almeno un oggetto “intelligente”.

Sul fronte dei canali di vendita, come era prevedibile, l’e-commerce è avanzato a scapito dei retailer tradizionali. Le vendite online sono cresciute del 20% in valore e coprono ora il 36% del mercato (180 milioni), mentre la filiera tradizionale ha perso il 17% e ora rappresenta una fetta leggermente inferiore (175 milioni). A metà si collocano i retailer multicanale, che accusano un leggero calo del 5%. «Nel 2020 sono emersi due trend che tracceranno il futuro della Smart Home nei prossimi mesi – osserva Angela Tumino, direttore dell’Osservatorio Internet of Things –. In primo luogo, la progressiva “servitizzazione”, ossia il passaggio dalla vendita del solo hardware alla proposta di servizi aggiuntivi, come ad esempio il pronto intervento in caso di pericolo per gli anziani che vivono soli. Il secondo è l’ingresso di nuovi attori in questo mercato, dai produttori di arredamento alla gdo, dal real estate ai produttori auto, che allargano i confini della competizione».

Sul fronte industriale, un parziale freno alla diffusione degli oggetti smart è dato dalla limitata compatibilità tra i device. «Però sono stati fatti molti progressi su questo terreno», afferma Antonio Capone, responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet of Things. Entro il 2021 dovrebbe completarsi l’iniziativa internazionale Chip (Conntected home over Ip), sostenuta dai big quali Amazon, Apple e Google, per la definizione di uno standard comune “aperto” per gli apparecchi domotici. Mentre un altro progetto, denominato Ocf (Open connectivity foundation) punta invece a standardizzare la comunicazione tra i vari cloud dei produttori di dispositivi.

E per quanto riguarda i brand? Secondo una survey di Bva Doxa, al primo posto tra i marchi che vengono in mente agli italiani parlando di smart home, ci sono a pari merito Bticino e Alexa di Amazon.

Fonte: Il Sole 24 Ore