Ristorazione: strategia di resilienza

Cooperazione, visione e digitalizzazione. Sono queste le parole chiave necessarie alle ripartenza del fuori casa individuate nel corso dell’edizione del Global Food Service Forum 2020, appuntamento tutto digitale, organizzato da Appetite for Disruption a Food Service.

La seconda edizione del Forum, andata in scena lo scorso 25 novembre in una forma consona ai tempi, ossia totalmente digitale, è stata un successo grazie ai suoi oltre 500 iscritti. L’evento, organizzato da A4D e Food Service, si è svolto con la collaborazione di Heathy Food, Shopify, Brainpull e UBRI. Speaker di rilievo, del mondo digitale, politico e della ristorazione, moderati da Monica Nastrucci, responsabile editoriale della rivista Food Service, e Cris Nulli, founder di A4D (il Think Tank italiano nel mondo della ristorazione commerciale), si sono confrontati sullo stato dell’arte del mondo del fuori casa e le strategie per essere resilienti oggi, e ripartire Global Foodservice domani. Per entrambi gli obiettivi la digitalizzazione è una leva indispensabile, come ha sottolineato Nulli nella sua introduzione: «La presenza sui social, le piattaforme di delivery e take away, le app proprietarie, ecco, da tutto questo derivano i big data della ristorazione, i data driven, indicatori strategici per essere resilienti e ripensarsi per il futuro». Un settore in trasformazione, quindi, ma su cui l’emergenza pandemica è destinata a lasciare segni dolorosi. La conferma, impietosa, viene dai dati presentati da Trade Lab. «Prima dell’avvento del Covid – ha spiegato Sara Silvestri, consultant della società di consulenza – le nostre stime accreditavano il mercato away from home di una robusta crescita per il 2020: grazie a uno sprint del +3,5%, il comparto avrebbe dovuto raggiungere un giro d’affari pari a 88 miliardi di euro. L’emergenza Coronavirus ha totalmente stravolto piani e previsioni e ad oggi, prospettiamo una chiusura d’anno in flessione del 41%. Tradotto in cifre, significa che andranno persi 35 miliardi di euro. Il giro d’affari del settore non supererà così la soglia dei 50,5 miliardi di euro». Una vera e propria tempesta, insomma, che non risparmia neppure le voci più performanti dell’horeca, come quella delle catene della ristorazione «Forti di un incremento del 272% capitalizzato nell’ultimo decennio – osserva Silvestri -, le insegne si preparavano quest’anno a un’accelerazione che le avrebbe portate dai 5,7 miliardi del 2019 ai 16,7 del 2020. Invece, le proiezioni corrette alla luce dell’impatto del Covid fanno segnare una fortissima battuta d’arresto che si traduce in una perdita del 47% sul dato del 2019 e in una chiusura d’anno ferma a 3 miliardi di euro. Una caduta verticale legata anche alla maggiore presenza di questo canale nelle aree del Paese più esposte al virus, come i centri urbani, i mail commerciali, le città turistiche e le location travel”.

Pronto un piano Marshall

La situazione è insomma seria e richiede provvedimenti di sostegno immediati. In caso contrario, il pericolo è veder ingrossare le fila dei registri di chiusura attività delle Camere di Commercio. «Tra marzo e ottobre sono già scomparse 10.000 imprese della ristorazione e a rischio ce ne sono altre 60.000» ammonisce Vincenzo Ferrieri, Ceo di Cioccolatitaliani nonché presidente di UBRI, l’Unione dei Brand della Ristorazione Italiana, nata con l’obiettivo dichiarato di fare sistema e migliorare la competitività delle aziende associate in un’ottica di coopetition, ovvero di cooperazione tra competitor. «Per questo – continua Ferrieri -, l’associazione che ho il piacere di dirigere ha messo a punto un piano di salvaguardia delle aziende italiane del settore che consenta di affrontare il presente e programmare il futuro. Abbiamo riportato la lista delle priorità da affrontare, che al proprio vertice vede la richiesta di agevolazioni e incentivi fiscali da concedere alle aziende pronte a investire in modo virtuoso. E pronte quindi a tornare a produrre ricchezza per sé e per la collettività. In seconda istanza, chiediamo un patto occupazionale che possa scongiurare la perdita del lavoro per un esercito stimato in 200.000 addetti. Invochiamo quindi facilitazioni per chi vorrà puntare sull’evoluzione tecnologica. Infine, auspichiamo un patto di liquidità da stringere con il sistema bancario che preveda finanziamenti di lungo periodo, con preammortamenti di 24-36 mesi. A supporto di queste proposte, abbiamo inoltre commissionato a qualificate società di consulenza un’analisi costi-benefici del progetto, con l’obiettivo di verificare quanto queste linee di indirizzo potranno concretamente aiutare ad aumentare la base imponibile e quindi il gettito fiscale del comparto. Il punto di arrivo è ambizioso: far superare al sistema i valori raggiunti nel 2019».

Gli assi nella manica delle catene

Il settore può del resto contare su fondamentali sani. Come dimostra anche lo studio sulle prospettive di sviluppo delle catene della ristorazione condotto da Trade Lab. «Le insegne – sostiene Silvestri – possono contare su fattori già presenti prima della pandemia e in grado di giocare a loro favore: una ancora scarsa penetrazione rispetto alle quote di mercato registrate all’estero, la managerializzazione dell’offerta, la spinta assicurata dalle mini-catene, la proposta cucita sulla qualità accessibile. E a questo si aggiunga che, in quanto realtà strutturate, potranno più facilmente dare risposta a una domanda destinata verosimilmente a orientarsi sempre più verso il money for value. La sfida sarà piuttosto quella di trovare un equilibrio tra la tenuta e la riconoscibilità del brand, e la capacità di adattarsi all’evoluzione in atto. Per vincerla si potrà puntare principalmente su quattro asset: due – prodotto e posizionamento – rappresentano un’eredità del pre-Covid, ma dovranno essere al centro di un ripensamento globale; i rimanenti due invece servizio e relazione con il cliente – costituiscono aspetti che hanno beneficiato con la pandemia di una forte accelerazione. Si impone quindi per gli operatori una riflessione a tutto tondo che dovrà toccare la valutazione della localizzazione dei punti di vendita, la dimensione del format, l’equilibrio tra consumazione nei locali e delivery, e le opportunità di brand experience».

La nuova normalità

A chi opera nel fuori casa sarà insomma richiesta un’attenta valutazione di uno scenario che pare destinato a uscire molto cambiato dalla crisi. Perché – è bene tenerlo a mente – non si torna indietro. Occorre invece guardare al futuro ed appellarsi alla capacità di visione. «Abbiamo davanti a noi un triennio molto complesso – prevede Giuseppe Stigliano, Ceo dell’agenzia di marketing e pubblicità globale Wounderman Thompson -. Dobbiamo quindi camminare con la testa rivolta al passato, per non perdere di vista le nostre radici, ma al contempo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ricorrendo a una metafora tecnologica, non dobbiamo pensare di tornare a lavorare sullo stesso file aperto all’inizio della pandemia. Dobbiamo piuttosto puntare a cambiare il computer. Si tratta, in buona sostanza, di ribaltare la nostra prospettiva per affrontare le difficoltà che incontreremo lungo la strada. Perché, come diceva il Mahatma Ghandhi: “Davanti alla tempesta, ci sono date due possibilità: aspettare che il sole torni o imparare a danzare sotto la pioggia”. E chi saprà scegliere la seconda non solo soprawvviverà alla crisi, ma potrà compiere un salto evolutivo. Che avrà maggiori possibilità di riuscita se sarà fatto in compagnia. Perché un punto è certo: non si può andare avanti da soli».

Milano autorizza più dehor e salva (in parte) il fatturato del fuori casa in un Paese che sconta spesso un eccessivo peso della burocrazia, succede anche che le istituzioni riescano a intervenire con efficacia, producendo risultati concreti a vantaggio dell’intera collettività. È il caso del Comune di Milano che la scorsa estate ha dato semaforo verde all’occupazione di suolo pubblico gratuito a favore degli esercizi della ristorazione. «A maggio – racconta Pierfrancesco Maran, assessore all’Urbanistica. Verde e Agricoltura del Comune di Milano – molte attività nutrivano dubbi sull’opportunità di riaprire. Poi l’introduzione della norma che consentiva loro di ampliare la disponibilità di posti a sedere da collocare in dehor esterni ha convinto molti ad alzare le serrande. Più della metà dei locali che avrebbero potuto avvalersi della possibilità, ha aderito alla proposta del Comune, che con questa iniziativa ha raddoppiato gli spazi esterni in uso all’horeca rispetto alla situazione pre-Covid. In due mesi abbiamo fornito lo stesso numero di permessi erogati nel decennio precedente». Ma l’iniziativa del Comune non sembra esaurirsi qui. «Entro Natale – informa Maran approveremo il regolamento definitivo che sarà in vigore nei prossimi anni. In questa sede, contiamo di affrontare anche il tema degli orari di chiusura e quello delle revoca della licenza In caso di inottemperanza alla normativa». Dal sodalizio con Shopify, la catena di pizzerie londinese Pilgrims ha recuperato una preziosa mole di dati sui suoi avventori che mai aveva avuto a disposizione in passato

I lavori del Global Foodservice Forum 2020 hanno rappresentato un naturale palcoscenico per raccontare le iniziative di risposta alla crisi messe in campo dagli operatori. Strategie diverse, legate però da un comune filo rosso: la volontà di non piegare la testa di fronte al Covid. In questa precisa direzione si inserisce la testimonianza di Enrico Buonocore, CEO di Langosteria, brand di fine dining con tre location a Milano e un temporary store estivo a Paraggi (Ce). «L’impatto della pandemia – afferma l’imprenditore – ha rappresentato un vero e proprio tsunami. Ma alla riapertura di giugno abbiamo registrato un riscontro incredibile: la relazione costruita negli anni con i nostri clienti ha pagato. E questo mi ha dato fiducia per continuare. Abbiamo quindi sfruttato l’opportunità data dal Comune di Milano di offrire dehor gratuiti (vedi box) per ampliare il numero di posti a sedere. E così tra luglio e ottobre siamo riusciti a incassare fatturati addirittura superiori rispetto a quelli registrati negli stessi mesi del 2019. Un risultato per il quale è stata però determinante l ‘applicazione ferrea delle norme anticontagio, a tutela sia della clientela sia del nostro personale, che rappresenta la vera ricchezza delle imprese di ristorazione. Abbiamo insomma reagito, pur dovendo attingere anche alle risorse economiche accumulate in passato. Come nel pugilato, infatti, bisogna saper incassare a spalle chiuse per poi essere pronti al contrattacco». Va invece perfino oltre la resilienza, la reazione messa in campo da Thom Elliot, founderdi Pizza Pilgrims. portabandiera della pizza napoletana a Londra e Oxford grazie a una rete di ben 13 locali. «Durante il lockdown – racconta Elliot – abbiamo puntato sulla consegna a domicilio. Ma non solo. Ci siamo anche inventati un pratico kit che contiene tutti gli ingredienti, già porzionati, per confezionare la pizza nel forno di casa. E il feedback è stato più che positivo. Va detto però che in questo percorso non siamo stati soli: ci siamo infatti affidati alla piattaforma di ecommerce Shopify, che ha garantito al nostri clienti, non necessariamente avvezzi alla tecnologia, un’estrema facilità di utilizzo. E da questo sodalizio, abbiamo anche ottenuto un altro non risibile vantaggio: una preziosa mole di dati sui nostri avventori che mai avevamo avuto a disposizione in passato e che sarà strategica per la nostra attività».

Tra I driver che guideranno la ripresa, si candida prepotentemente anche l ‘innovazione tecnologica, che bussa con insistenza alle porte della ristorazione. A dare conferma del fenomeno è il caso di Healthy Food, giovane start up fondata e diretta da Pietro Ruffoni. selezionato da Forbes nella classifica dei 100 migliori imprenditori nel 2020. Alla base del progetto, c’è l’intuizione di creare una Carta d’identità alimentare, ovvero un documento digitale che permette ai sottoscrittori di esprimere le proprie esigenze in fatto di cibo e che. grazie all’inserimento nel data base contenuto nell’app MyClA, consente loro di individuare i ristoranti attenti ai bisogni indicati. Una facilitazione alla quale l’applicazione affianca anche la possibilità di prenotare, ordinare e pagare via smartphone. Ma non è tutto. I locali aderenti al network possono infatti godere del servizio del menu digitale, che attraverso un semplice QR code permette di visualizzare l’offerta dei singoli locali tradotta in 60 lingue. Un servizio che presto sarà esteso anche ai negozi alimentari. «In pochi mesi – confida Ruffoni – abbiamo già ricevuto 75.000 carte di identità compilate, totalizzato 150.000 download della app e raggiunto quota 1.2 milioni di aperture del menu digitale». Un risultato cui ha concorso soprattutto la formula economica proposta: i servizi digitali, infatti, non richiedono commissioni variabili, ma si basano su un modello a costo fisso, eliminando così una forte barriera ancora presente nella ristorazione all’utilizzo della tecnologia.

Fonte: Food Service