Coop di produzione e servizi, ricavi 2020 in caduta del 13%

Il settore con 17 miliardi di ricavi e 154mila addetti presenta le stime post covid. I rientri già in atto Zini: «Il lavoro all’estero è stato una tomba per molti».

Chiedono lo sblocco dei cantieri, grandi piani di investimenti sulla sanità e sull’ammodernamento dell’edilizia scolastica, la fine di una politica delle gare improntata al massimo ribasso, una prospettiva di medio e lungo periodo che abbia al centro la creazione di posti di lavoro. Poi puntano i riflettori sul mercato interno. «Lavorare all’estero è stata la tomba per non poche imprese – dice Carlo Zini, presidente di Legacoop Produzione e servizi -. Per tanti anni abbiamo pensato che l’internazionalizzazione fosse la soluzione a tutti i problemi ma ci siamo accorti che dobbiamo rimettere in moto il mercato domestico, senza il quale non si può ripartire. E noi siamo pronti a investire, anche indebitandoci se l’obiettivo è la salvaguardia dell’occupazione in una prospettiva di crescita». Zini è ai vertici di Cmb di Carpi (costruzioni di ospedali e grandi infrastrutture). Una delle maxi-coop (578 milioni di fatturato) che si preparano all’appuntamento, il 27 e il 28 ottobre a Bologna, con l’assemblea nazionale di Legacoop Produzione e servizi, vale a dire una galassia di oltre 2.500 imprese cooperative concentrate soprattutto in Emilia-Romagna, tra costruzioni, industria, logistica, ristorazione collettiva. Una potenza da quasi 17 miliardi di fatturato e oltre 154mila addetti, dove svettano colossi, 155 gruppi capaci di sviluppare il 50% del volume d’affari totale. Nomi come Sacmi (Imola, impianti per l’industria ceramica e per il packaging, 1,1 miliardi di fatturato), Cefla (Imola, leader mondiale nell’impiantistica per gli odontoiatri, con un valore della produzione che sfiora i 600 milioni), Camst (Villanova di Castenaso, a Bologna, un volume d’affari di 785 milioni). Tanti affondano le loro radici nei primi del Novecento.

Tutti sono pronti a investire, nonostante la pandemia abbia picchiato duro, tanto da portare la perdita economica media stimata per il 2020 al 13,3%, con picchi del 33,6% per la ristorazione collettiva, del 36,6 per il trasporto persone, del 20% per le costruzioni. Sono pronti anche ad aprire al salario minimo: «Il dumping contrattuale è un problema», dice Zini. E a recuperare terreno in Italia. «Perché è vero che le nostre principali eccellenze sono vocate all’internazionalizzazione – spiega Zini – ma la crisi attuale impone anche una correzione di rotta di fronte alle carenze del mercato interno, di cui quasi tutte le nostre associate hanno bisogno. Nonostante in Italia scontiamo il prezzo dei tempi lunghi di pagamento da parte della Pa, all’estero ci sono problemi di contesto che rendono più rischioso operare». Un esempio è quello di Cmc di Ravenna, gigante delle costruzioni con uno storico profilo internazionale.

Una vocazione a operare all’estero (Asia, Africa, Medio Oriente) che non lo ha messo in sicurezza. Alla fine del 2018 è stato costretto al concordato preventivo (l’omologa del Tribunale romagnolo è arrivata nel maggio scorso): schiacciato da un debito chirografario di 1,8 miliardi ha da poco imboccato la strada della ripresa. Zini si prepara a cedere la guida dell’associazione a Gianmaria Balducci, presidente di Cefla, che oltre che nell’impiantistica per gli odontoiatri opera nel settore del finishing (macchinari per la finitura del legno, tra i suoi clienti figura Ikea), dell’impiantistica elettrica e idraulica, della cogenerazione. E che, con duemila dipendenti, si appresta a entrare nel mondo del medicale. «La tendenza a investire in Italia è già in atto, il reshoring è diffuso anche in alcuni nostri settori – dice Balducci -. Noi, anche per l’approvvigionamento, ci stiamo organizzando per avere una filiera interamente nazionale. E abbiamo dismesso una produzione che avevamo in Cina». Per Cefla la semestrale si è chiusa con una flessione dei ricavi del 15%. «Contiamo, alla fine del 2020, di confermare questa diminuzione, auspicando che non scatti un nuovo lockdown – spiega Balducci -. Anche perché le attività produttive, se gestite bene, possono garantire un ottimo livello di sicurezza. Puntiamo a cogliere nuove opportunità. Del resto la cooperazione ha nel proprio Dna uno sguardo proiettato sul medio e lungo periodo». La pandemia, dicono le coop, sta trasformando d’altronde anche il modo di affacciarsi sui mercati esteri. “Oggi, con le difficoltà negli spostamenti, devi essere strutturato con sedi decentrate: ed è questo che fa la differenza”, dice Paolo Mongardi, presidente di Sacmi, che con 4.600 dipendenti tra Italia e resto del mondo sviluppa l’85% del proprio fatturato all’estero. «Ma l’Italia – prosegue Mongardi – resta strategica: è qui che mostriamo la nostra forza sul piano dell’innovazione». È fondamentale, il mercato interno, anche per Camst, che a causa del Covid – tra chiusura delle scuole e lockdown – chiuderà il 2020 con un calo di circa il 35%. Questo nonostante il gruppo bolognese abbia, da alcuni anni, puntato anche sull’estero. In Danimarca, Spagna e Germania, ha rilevato le quote di maggioranza di società di ristorazione collettiva; in Svizzera ha aperto una sede.

«Lo smart working cambierà il mercato – osserva il presidente di Camst Francesco Malaguti – e stiamo cercando di innovare il servizio per rispondere alle nuove esigenze. La novità è che adesso dialoghiamo con le istituzioni, con le aziende con le scuole per cercare soluzioni che non sono solo e necessariamente le mense aziendali. Per questo puntiamo sulle nuove tecnologie digitali, su app che consentono di riorganizzare il servizio. Oggi è necessario».

Fonte: Il Sole 24 Ore