Imprese di pulizia e sanificazione: dove sono finite le loro mascherine?

Anche i cleaner sono in trincea, ma senza protezione: i DPI acquistati dalle aziende di pulizie vengono sequestrati dalla Protezione Civile e redistribuiti

Quanti di noi accetterebbero di pulire le camere di un ospedale? Sì, proprio oggi, magari indossando la stessa mascherina da tre giorni perché i DPI non si riescono più a trovare facilmente. Andreste a lavorare in aree ad alto rischio di infezione con in corso un’emergenza pandemica, a fronte di uno stipendio spesso molto basso, e per di più risultando invisibile alla maggior parte delle persone? Magari con accanto qualcuno che getta a terra una sigaretta; tanto c’è chi pulisce. Io no: avrei paura, lo ammetto.

Eppure in tanti lo fanno, visto che il mercato italiano di pulizieigiene e sicurezza è in continua crescita da quasi un decennio. Ad oggi il settore pulizie conta 53.500 imprese, per un fatturato di circa 21,2 miliardi di euro, che danno lavoro a circa 532.000 addetti, di cui il 70% sono donne (CRESME, 2019).

C’è chi definisce il comparto servizi come tutto ciò che non è prodotto. C’è invece chi afferma che il servizio è un’attività economica che non può essere separata da chi la possiede, perché viene prodotta contestualmente al suo consumo.

Abbiamo voluto affrontare una tematica che lascia basiti e indignati milioni di italiani: la scarsità di dispositivi di protezione individuale per coloro che sono chiamati a pulire ospedali, cliniche e aziende, in prima linea a rischio della propria salute.

Paolo Valente (Responsabile Comunicazione e Relazioni Esterne di ANIP-Confindustria) ne dà una definizione che sposo appieno: per “servizi” potremmo intendere tutto quello che, da elemento accessorio del prodotto, diviene attore primario e decisivo per qualità della vita delle metropoli, delle comunità e del sistema economico e produttivo del Paese. Per questo li abbiamo definiti “servizi per la vita”.

Una cosa è certa, e ce ne stiamo accorgendo oggi più che mai: il vero valore del comparto servizi sono le persone, a cui sempre più spesso nell’ultimo mese abbiamo messo in mano proprio la nostra vita. Il settore cleaning è un settore altamente labour intensive (cioè un settore in cui il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del costo del servizio/prodotto), poiché il costo del servizio è rappresentato per l’80% da prestazione d’opera: significa che le aziende di cleaning e i cleaner (il personale di pulizia), a livello di impatto sociale, sono praticamente la stessa cosa.

Qual è ad oggi la situazione in cui le aziende di cleaning, e quindi i cleaner, si trovano a lavorare?

Ad oggi c’è una priorità e una difficoltà oggettiva di sicurezza: i DPI scarseggiano, e non abbiamo linee chiare e univoche sui meccanismi di trasmissione del virus e delle relative diverse aree di rischio dove operiamo. Uno scenario incerto causa un approccio non uniforme all’uso dei DPI e ai protocolli di pulizia e sanificazione, da parte di enti, istituzioni e anche di qualche azienda. Imprese e lavoratori stanno reagendo con un fortissimo senso di responsabilità, poiché sanno di essere un tassello preziosissimo per la lotta al COVID-19. Rappresentiamo un comparto che, tramite i servizi di cleaning, sanificazione e disinfezione, sta reagendo per sostenere il Paese, l’apertura delle aziende e il buon funzionamento della sanità. Sanificazione, igiene, pulizia sono una prerogativa unica del comparto servizi. E ad oggi su scala mondiale si ha finalmente la percezione di come questo sia un settore capitale per la vita dell’uomo: è stato definito strategico da tutti, in primis dallo Stato.

A proposito di termini di apparente uso comune: nell’ultimo mese ho notato che i media hanno usato spesso impropriamente le parole pulizie, disinfezione e sanificazione. Ci aiuti a fare un po’ di chiarezza?

Certamente, basta far riferimento alla Normativa. L’art. 1 del D.M. 274/1997 definisce:

  • attività di pulizia: quelle che riguardano il complesso di procedimenti e operazioni atti a rimuovere polveri, materiale non desiderato o sporcizia da superfici, oggetti, ambienti confinati e aree di pertinenza;
  • attività di disinfezione: quelle che riguardano il complesso dei procedimenti e operazioni atti a rendere sani determinati ambienti confinati e aree di pertinenza mediante la distruzione o inattivazione di microrganismi patogeni;
  • attività di sanificazione: quelle che riguardano il complesso di procedimenti e operazioni atti a rendere sani determinati ambienti mediante l’attività di pulizia e/o disinfezione e/o di disinfestazione, ovvero mediante il controllo e il miglioramento delle condizioni del microclima per quanto riguarda la temperatura, l’umidità e la ventilazione, ovvero per quanto riguarda l’illuminazione e il rumore.

Ci tengo a ricordare che non basta dare a qualcuno in mano una scopa o un mocio per farlo diventare un cleaner. Il nostro lavoro, come tutti gli altri, prevede organizzazione, formazione e capacità di discernere tra i prodotti e il loro utilizzo, ancor di più quando si parla di disinfezione e sanificazione. Una delle nostre battaglie, già da tempo, è legata al fatto che la sanificazione è un’attività strategica, e come tale la deve eseguire chi ha la giusta professionalità per farla.

Che cosa sta facendo il governo e che cosa sta facendo ANIP per tutelare tutti i lavoratori del settore servizi che sono in prima linea?

Nel DPCM del 22 marzo scorso, all’allegato 1 venivano definite le attività strategiche che dovevano rimanere aperte. Non è stato né semplice né scontato far passare il concetto che il codice ATECO del settore pulizie doveva essere inserito tra le attività essenziali. Mancavano anche gli ATECO di molte aziende della filiera, come ad esempio i produttori di macchine e attrezzature. Come Associazione Confindustriale abbiamo quindi subito segnalato la problematica e lavorato con i canali istituzionali anche in un’ottica di filiera, che è l’unica che ci può dare modo di lavorare correttamente. Un altro passaggio importante è stato il protocollo stilato in accordo con governo, sindacato, Confindustria e le altre rappresentanze lavorative, affinché fossero garantite le condizioni di sicurezza dei lavoratori e consegnati in tempi celeri i DPI necessari a tutti i lavoratori in prima linea. Purtroppo dobbiamo constatare che questo è accaduto più di due settimane fa, e ad oggi non è arrivato ancora nulla né alle imprese né ai lavoratori, nonostante ANIP abbia fatto un’attività di pressione e sensibilizzazione sia verso la Protezione Civile che per il settore Acquisti pubblici. Deroghe e ritardi stanno creando un clima da Far West: sequestri, blocchi di forniture; qualcuno che ha riconvertito la propria produzione industriale ha enormi difficoltà ad avere la conformità ai requisiti richiesti, mentre altri sono in attesa di una validazione. Qui serve chiarezza e rapidità d’azione, perché le aziende sono nel guado e non riescono a raggiungere l’altra riva del fiume, quella di un lavoro a regime di sicurezza. 

Perché a tuo parere si è creata questa problematica?

Ovviamente le mascherine in primis non ci sono, e la loro produzione e fornitura è insufficiente; il meccanismo messo in moto per reperimento e nuova produzione è lento, e tra diversi enti e priorità ha una gestione per nulla efficace, al momento. Per il settore di cui stiamo parlando i lavoratori di sanificazione, igiene e pulizia andrebbero considerati, per la loro protezione e sicurezza, al pari di coloro che operano nelle strutture sanitarie. Purtroppo, non essendo assimilati agli operatori sanitari, i lavoratori del comparto servizi non hanno diritto ad avere priorità nella distribuzione dei DPI, e quindi le aziende li stanno reperendo autonomamente. Con la conseguenza che davanti si ha un quadro dove spesso però le forniture vengono fermate alle dogane, e anche sequestrate dalla Protezione Civile per essere reindirizzate alle strutture ospedaliere. Stiamo parlando anche di forniture già pagate dalle imprese di servizi, sottraendo loro liquidità in un momento in cui l’economia non promette veloci cenni di ripresa.

Visto che la carenza di DPI è un’urgenza improrogabile, si può pensare a canali diretti di approvvigionamento per tutta la categoria?

Noi rappresentiamo le aziende appartenenti alla categoria; favoriamo l’incontro di tutta la filiera, facilitiamo la valutazione della qualità dei fornitori e favoriamo contratti quadro, come quelli che sta facendo Confindustria. Il nostro compito adesso è fare pressione sulle istituzioni e sensibilizzare la collettività. Proprio per questo motivo abbiamo dato vita alla campagna “in buone mani” (che ora è diventata europea) e abbiamo istituito una task force dedicata all’emergenza COVID-19, composta da delegati delle aziende e consulenti, che stanno portando avanti l’interlocuzione governativa e la presentazione di proposte di soluzione alle aziende. L’appello è di non lasciare soli i nostri lavoratori e le nostre imprese e valorizzare la loro professionalità come strategica per il Paese.

Qual è il tuo sguardo al futuro, anche se il presente è già abbastanza impegnativo?

Quello che verrà non sarà un dopo, ma un durante: abbiamo iniziato un processo che definirà un nuovo modo di lavorare. Basti pensare che per un vaccino anticovid19 si dice servano minimo 14 mesi. Le persone che lavorano in ambienti a rischio che DPI dovranno indossare? Dove li approvvigioneranno? Come cambieranno le zone di rischio e dei protocolli di intervento? Per operare e convivere con il contagio tutti i lavoratori dovranno essere sottoposti periodicamente a tamponi? Queste domande dovranno trovare rapidamente una risposta chiara e sostenuta da azioni concrete del governo, che ci permettano di lavorare in totale sicurezza. Come ha detto saggiamente Papa Francesco in merito a chi si impegna in prima linea, cleaner compresi, “non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste, né nelle grandi passerelle dell’ultimo show. Ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia […] perché nessuno si salva da solo”.

 

Fonte: informazionesenzafiltro.it