Indagati per truffa e abuso d’ufficio Claudio Stefanazzi e Vito Ladisa

20/11/2019, BARI – Truffa e abuso di ufficio. Sarebbero i reati contestati a Claudio Stefanazzi, capo di gabinetto della Regione e sua moglie Milena Rizzo. Nella stessa inchiesta è indagato anche l’imprenditore barese Vito Ladisa. L’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dalla pm barese Savina Toscano, riguarda la gestione di un Pfa, piano formativo aziendale finanziato dalla Regione Puglia e gestito, secondo l’accusa, da Milena Rizzo. Ieri mattina i finanzieri hanno perquisito la sede della Ladisa Srl, dove si è svolto il corso. I fatti contestati fanno riferimento agli anni 2016-2018. Ieri sera in un lungo post su Facebook, Claudio Stefanazzi ha spiegato che «tutta la documentazione relativa al piano, ovvero i calendari dell’attività di formazione, l’indicazione delle sedi di svolgimento, dei docenti, dei discenti, del personale coinvolto sono inseriti e custoditi in una piattaforma informatica della regione Puglia, quali atti pubblici. Falsificare queste carte – scrive
ancora -appare effettivamente piuttosto difficile. Gli atti pubblici depositati presso la regione comunque attestano il regolare ed effettivo svolgimento delle attività di formazione connesse al Piano». Il post-sfogo su Facebook del capo di Gabinetto «Stasera, appena rientrato come ogni sera a Lecce da Bari, sono stato raggiunto da una telefonata di un giornalista che mi chiedeva notizie di una indagine a mio carico e di una perquisizione avvenuta presso la sede della società dove lavorava, fino ad un anno fa, mia moglie. Non avendone avuto notizia mi sono informato ed effettivamente mi è stato riferito che, stamattina la Guardia di finanza si è recata presso la società. Ho cosi scoperto che io e mia moglie siamo indagati, senza però aver avuto alcuna notifica in merito. Io sarei accusato di essere “amministratore di fatto” della società. Ovviamente non sono mai stato amministratore di fatto di quella società. Ci mancherebbe. L’accusa riguarda la gestione, da parte della società di cui mia moglie era dipendente fino ad un anno fa, di un PFA, Piano Formativo Aziendale. Il Piano Formativo Aziendale è uno strumento di finanziamento di iniziative di formazione della Regione Puglia a beneficio di tutte le aziende per la riqualificazione delle competenze dei propri lavoratori. Il bando in questione è a sportello, cioè non sottoposto a scadenze, e i requisiti di ammissibilità delle imprese sono: essere micro, piccola media o grande impresa secondo la definizione comunitaria; garantire il cofinanziamento obbligatorio a carico dell’azienda previsto nel bando; presentare la documentazione amministrativa e contabile prevista dal l’istruttoria (tra cui certificato antimafia); presentarla secondo le modalità telematiche previste dall’avviso. Tutti coloro che richiedono un PFA e che rispettano i requisiti menzionati, vengono finanziati. Tutta la documentazione relativa al piano, ovvero i calendari dell’attività di formazione, l’indicazione delle sedi di svolgimento, dei docenti, dei discenti, del personale coinvolto oltre alla descrizione del piano formativo e documentazione amministrativo/contabile sono inseriti e custoditi in una piattaforma informatica della regione Puglia, quali atti pubblici. Contestare la effettività della attività formativa effettuata significherebbe coinvolgere nell’eventuale reato una miriade di pubblici funzionari. Falsificare queste carte appare effettivamente piuttosto difficile. Gli atti pubblici depositati presso la regione comunque attestano il regolare ed effettivo svolgimento delle attività di formazione connesse al Piano. Ne pare esservi profili di discrezionalità nella gestione, lato amministrazione pubblica, dei suddetti Piani. Inoltre la filiera amministrativa preposta alla gestione del Piano è del tutto estranea alla mia sfera di influenza. Come è noto, il modello organizzativo che è stato adottato nel 2015, separa, attraverso la istituzione del segretariato generale della presidenza, ricoperto da altre persona, la funzione amministrativa, rimessa al segretario generale quale vertice della macchina amministrativa regionale, da quella di indirizzo politico, esercitata anche dal Gabinetto del presidente. Nessun potere di gestione amministrativa mi è attribuita, in particolare quella di ultima istanza nei ricorsi gerarchici. Temo sia irrilevante sottolineare, come è noto ad ogni ufficio della Regione, che non è mio costume non dico interferire ma nemmeno interagire con li stessi uffici per questioni relative alla ordinaria attività amministrativa. L”ipotesi che io sia, di quella società amministratore di fatto è, appunto, una ipotesi che dico subito essere infondata. Nel ribadire la nostra totale estraneità ai fatti contestati e la assoluta fiducia nell’operato della magistratura, non posso che rammaricarmi dell’ennesima fuga di notizie. Questa volta l’atto giudiziario è avvenuto a 150 km da Bari, quindi, esclusa la accidentale scoperta da parte di qualche passante occasionale, debbo constatare che, ancora una volta, la stampa viene a conoscenza di vicende che riguardano una sfera molto riservata della vita di ognuno di noi, prima dei diretti interessati».

Fonte: Corriere.it