Scuola: Crescita di menù bio in Italia, ma necessari altri passi avanti

Largo Consumo, N.3 – Le mense scolastiche bio sono 1.311 in Italia (dati al 2017): in aumento dell’1,8% rispetto al 2016, che ne registrava 1.288. Un numero significativo riportato nel Focus “Mense scolastiche 2018” stilato da Bio Bank : oltre 20 anni di censimento e ricerche che hanno coinvolto le principali aziende della ristorazione collettiva e molti comuni italiani. Occorre precisare, tuttavia, che l’arco temporale del Focus è compreso tra il 2004 (momento in cui ha avuto luogo una sistematizzazione dei dati sul numero dei pasti serviti su base annua) e il 2018. Il valore stimato dell’intero mercato della ristorazione biologica in Italia nel 2016 è invece di 377 milioni di euro. Un settore in crescita, che fino al 2017 ha segnato il 135% in più rispetto al 2006. Questo lo scenario generale in cui s’inseriscono anche le mense scolastiche bio. L’andamento, nonché la trasformazione, di queste ultime è stato seguito nel Focus facendo riferimento a dei criteri fondamentali. Innanzitutto, i dati mostrano come l’inserimento dei prodotti bio si sia rivelato – nel periodo preso in considerazione – piuttosto graduale. Il cuore del Focus si basa sul rapporto fra il numero di mense bio e il numero di pasti erogati quotidianamente. Nell’intera gamma del pasto giornaliero bio rientrano gli interi menu bio, i menu che contengono molti prodotti bio e altri che ne contengono solo alcuni. Una scelta decisiva, dunque, al centro del report, che tiene soprattutto conto del dm n. 14.771 del 18 dicembre 2017, che incentiva le mense bio: il ruolo delle suddette «è strategico sotto vari aspetti: non solo come percorso di educazione alimentare e come investimento sulla salute dei bambini e dell’ambiente, ma anche come sbocco commerciale sempre più rilevante per i produttori biologici». A sostegno delle mense biologiche, a partire dal 2018, è stato soprattutto istituito un fondo gestito dal Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo (Mipaaf), pari a 44 milioni di euro fino al 2021.

Una mossa importante, volta a rendere i costi più sostenibili, ma non solo: una manovra economica che testimonia la necessità di un’informazione adeguata e di una conseguente sensibilizzazione in merito ai prodotti bio a uso dei clienti-utenti della scuola. Il servizio della ristorazione collettiva si snoda in 2 direzioni: quella prettamente aziendale e quella istituzionale e territoriale, responsabile di rendere trasparenti, oltre che fruibili, i dati e la normativa in vigore. Dal Focus emerge il primato dell’assetto aziendale di matrice cooperativistica, come dimostrato dalla presenza sul podio di Camst ristorazione , nata nel dopoguerra, e Cir food , presente sul mercato fin dagli anni Novanta: 2 colossi dell’Emilia Romagna che detengono, rispettivamente, sul piano dell’erogazione del servizio un indice pari al 34,4 e al 21,0. Il 1° si posiziona con 42 milioni di pasti annuali erogati in ben 970 comuni con una percentuale di pasti bio pari all’82%; il 2° con altrettanti pasti annuali erogati, ma con una presenza in 450 comuni e con una percentuale di pasti bio pari al 50%. Segue al 3° posto la multinazionale francese Elior ristorazione con un indice pari a 16.5 (con 18 milioni di pasti annuali erogati, in 250 comuni, e con una percentuale di prodotti bio pari al 50%). Già dalla fine degli anni Novanta, Camst è divenuta una realtà aziendale che impegna le proprie risorse nei servizi e nella logistica, rispettando l’ambiente, arginando il problema dello spreco alimentare e creando così un circolo virtuoso fra territorio, occupazione e mission aziendale. Cir food è un’azienda che conta quasi 11.000 dipendenti ed è una delle maggiori imprese cooperative europee, presente in 16 regioni italiane e in oltre 70 province. L’Emilia Romagna è dunque il terreno originario di una ristorazione collettiva, incentrata dapprima sui bisogni del cliente-utente e, nondimeno, sulla lungimiranza nel considerare il bio un fattore decisivo nello sviluppo delle aziende della ristorazione collettiva. Una regione, dunque, che ha funzionato da apripista sia sul piano aziendale, sia su quello regionale. È a Cesena infatti che nel 1986 nasce la prima mensa bio, un esempio di imprenditoria illuminata che ha visto la concertazione di più figure professionali nell’inserimento di prodotti biologici di qualità. La Regione Emilia Romagna, già più di 10 anni fa, ha anche finanziato Sportello mense bio , un punto di raccordo importante per la ristorazione collettiva se si pensa soprattutto all’importanza di essere continuamente aggiornati sui fondi destinati alle mense scolastiche bio e sui capitolati di gara. Una regione fertile, dunque, che si posiziona al 3° posto per le mense scolastiche bio (163), dietro a Lombardia (245) e Veneto (215). Dal punto di vista gestionale, per le aziende operanti sul mercato della ristorazione collettiva, la formula dell’appalto è scelta dal 94% delle mense scolastiche. La gestione diretta si ferma solo al 3%. E se si guarda ai bandi emessi dalle amministrazioni comunali, i servizi di mensa scolastica devono rispondere anche ai criteri ecologici nelle procedure di acquisto, o meglio al Green public procurement: un fattore decisivo quest’ultimo, in quanto è in grado di generare un volume d’affari piuttosto impattante sul mercato dei prodotti e servizi green. Le aziende leader non sono soltanto chiamate a erogare un servizio già confezionato: i bandi proposti dalla pubblica amministrazione sono sempre più complessi e, da parte loro, le aziende devono presentarsi costantemente aggiornate mettendo in opera competenze specifiche. È stato a tal proposito creato dalle aziende leader del settore Oricon (Osservatorio sulla ristorazione collettivae nutrizione) al fine di diffondere la cultura del servizio e promuoverne la qualità. Con il dm che, per la prima volta nel nostro Paese, riconosce le mense biologiche scolastiche, il Ministero dell’Istruzione, le Regioni e i Comuni hanno messo a punto dei criteri di premialità. Le scuole dovranno inserire delle percentuali minime dei prodotti bio utilizzati a mensa. Due i tipi di premi destinati alle mense. Il cosiddetto marchio oro premia le scuole che fanno uso del 90% di frutta, legumi, pasta, riso, farine, olio Evo; del 100% di uova, yogurt e succhi di frutta; del 50% per quel che riguarda prodotti lattiero-caseari, pesce e carne. Percentuali in parte ridotte sugli stessi prodotti bio corrispondono al premio marchio argento (70% per la prima categoria di alimenti; 100% per uova, yogurt e succhi di frutta; 30% per prodotti lattiero-caseari, pesce e carne). Un dm che induce le mense scolastiche bio ad aderire a una logica che rispetti la sostenibilità ambientale, da un lato, e la responsabilità sociale d’impresa, dall’altro. La presenza, la promozione e la diffusione del bio nelle mense scolastiche costituisce un buon punto di partenza per coinvolgere i ragazzi delle scuole nell’educazione alimentare. Il pasto consumato a scuola è prima di tutto un momento educativo che pone inevitabilmente gli alunni in relazione con l’ambiente e con la collettività. In questo senso, la mensa scolastica è un luogo condiviso e partecipativo che di per sé porta alla sensibilizzazione nei confronti della diversità e della sostenibilità ambientale. Da questo punto di vista, diventa fondamentale attivare un approccio cooperativo che coinvolge le famiglie, chiamate a partecipare al programma di educazione alimentare, e le aziende di ristorazione, che non devono perdere di vista l’opportunità di formare i propri operatori sul piano educativo. Milano ristorazione , in collaborazione con Doxa , si è mossa in questa direzione e ha effettuato una ricerca di mercato, “Dimmi cosa mangi”, relativa all’anno scolastico 2017/2018.

Una ricerca che mette al centro le preferenze e i gusti dei bambini, che permette al servizio di ristorazione di migliorarsi sul medio-lungo periodo e di confermare l’aspetto partecipativo che coinvolge cittadini, famiglie e bambini. Questi ultimi accordano la loro preferenza ai primi piatti anziché alle minestre e ai minestroni; ai piatti di carne piuttosto che a quelli di pesce, e, per quanto riguarda i contorni, i ragazzi preferiscono le patate, mentre le verdure tradizionali, come zucchine e carote, risultano più appetitose nella loro versione croccante. Un bambino su due (il 57%) innanzitutto usa volentieri il servizio di refezione, perché è senz’altro in compagnia degli amici, guardando però anche ai prodotti proposti dal servizio. Questi dati provengono dall’indagine “Servizi in… Comune. Tariffe e qualità di nidi e mense” presentato da Cittadinanzattiva , ente non profit riconosciuto come organizzazione di consumatori dal 2000. L’indagine ha visto il coinvolgimento di 51 scuole di 12 regioni (Calabria, Campania, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia e Sardegna); poco meno di 600 i soggetti intervistati (docenti, genitori, rappresentanti della commissione mensa e gli stessi bambini). Quello che riporta l’indagine è che solo il 14% dei bambini consuma un pasto completo, il 35% consuma solo alcuni cibi (dolci e gelato per il 77%, pizza per il 75%, carne per il 63%, frutta per il 58%, pasta al pomodoro per il 50%). Tra i cibi meno graditi, vi sono le verdure cotte e le minestre (rifiutati da 2/3 dei bambini), il pesce (58%), e la pasta in bianco (44%). L’81% dei genitori considera che il menu sia vario, soprattutto in base alla stagionalità dei prodotti. Ma il dato più sostanziale che emerge è che più della metà (58%) non sa se a mensa vengano serviti prodotti bio. Legambiente Lombardia ha presentato i risultati di un questionario sulle mense scolastiche, nel corso del convegno (dicembre 2018) “Studia come mangi”, promosso da Legambiente , in collaborazione con Iclei (International council for local environmental initiatives) , con il contributo della Commissione europea e con il patrocinio dell’ Associazione nazionale comuni italiani (Anci) . La media dei prodotti biologici nei pasti delle scuole dei comuni che hanno aderito al questionario di Legambiente è del 53,9%. Solo il 6,3% dei pasti serviti è interamente bio. L’indagine di Legambiente ha coinvolto 90 comuni, per un totale di 5.720 scuole e un campione di 1 milione e 192.697 studenti. Dal report annuale dell’associazione emerge che il servizio mensa è garantito nell’84,9% delle scuole del Nord e nell’88,9% del Centro, ma solo in poco più del 63% degli istituti del Sud e nel 30,8% delle scuole sulle isole. In merito ai pasti, le mense con prodotti igp e dop sono il 79% con una media del 24,4%. Dalle indagini riportate, dunque, emerge uno scenario ancora frammentato per quel che concerne le mense scolastiche bio, in cui c’è ancora molta strada da percorrere se si vuole raggiungere il risultato di avere a che fare con mense sostenibili e in grado di servire pasti 100% bio.

FONTE: Largo Consumo, N.3 – marzo 2019 – VALENTINA MARTINA